Simone e Tami – I sopravvissuti del deserto salato…
Qualche giorno fa l’amico Simone mi aveva preavvisato: stavolta avevano rischiato la pellaccia veramente…
Però ci rassicurava che il peggio era passato e che ora stavano bene.
Finalmente ci ha mandato il racconto della loro giornata terribile vissuta nei deserti boliviani. Della loro angoscia e della grande paura di non farcela…
Un racconto da brividi per chi lo conosce, per noi amici e per i loro cari… Non oso pensare a sua mamma Franca…
Simone non è credente e si ribella alle considerazioni di Tamy che stavolta qualcuno ha guardato giù, come si suol dire… Rispetto il pensiero di Simone, e comprendo la sua grande rabbia ricordando gli amici prematuramente scomparsi.. ma anche a me piace pensarla così. E credo che a guardar giù siano stati i loro angeli custodi, gli amici e parenti purtroppo persi in questi anni.
Ecco il loro racconta di questa folle giornata…
“Quello che sto per raccontarvi ha un po’ dell’incredibile ed un po’ del prevedibile visto che mi conoscete…
Partiti da Copacabana sul lago Titicaca ci siamo diretti verso il salar di Uyuni, la strada piacevole e la giornata perfetta ci ha fatto raggiungere velocemente i bordi desertici del salar dove abbiamo piazzato la tenda, nel nulla, da cinghialotti…
Il giorno seguente ci tuffiamo a capofitto nella pista. Sabbia, fango,detriti di ogni genere, un calvario durato ore ed ore. Siamo caduti in totale otto volte, prima nel tentativo di guadare una enorme pozza (finiti a mollo), scivolati sulla sabbia, scivolati sul sale, etc etc, sembrava un film comico… La vista di un enorme cratere formato da un meteorite,
fenicotteri, ed altre aspre bellezze ci rincuorano…
Vista la strada decidiamo di cambiare itinerario, tentando di raggiungere una frontiera piu a nord ma la strada peggiora. La strada si stringe, le lingue di sabbia diventano dune dove i pochi fuoristrada lasciano solo le
ombre. Dopo ore nel tentativo di superare il tratto demoniaco, ormai spompati decidiamo di tornare indietro, non e’ strada per noi, ho rischiato piu’ volte di bruciare la frizione. E’ veramente chiedere troppo al mio ippopotamo di metallo! Piazziamo nuovamente la tenda, ma all’ombra di un vulcano stupendo. La notte, una stellata da cardiopalma ci mostra tutta la sua bellezza, con la via lattea ben visibile torniamo a fare i cinghiali. Due scatolette, due barrette energetiche ed un po’ d’acqua sono la nostra cena…
La mattina decidiamo di tentare il salar, sembra facile, la mappa delle piste c’e’. Ci tuffiamo dentro senza timori, si viaggia anche veloci sul solido strato di sale. Lo spettacolo ci lascia piu’ volte proiettati in un sogno, l’immensita’ del salar, il vulcano alle nostre spalle, le isole che sbucano dal bianco qua e la e che sembrano galleggiare su di esso, poi la
tragedia.
Finiamo in una zona piu’ molle, ma quando ce ne accorgiamo siamo nel fango con la moto bloccata. Nessun tentativo va a buon fine, la stanchezza e la disperazione comincia a prendere il sopravvento, un incubo. Mentre Tamara
monta la tenda affianco della moto io vado a piedi nel nulla, vagando per ore nel tentativo di vedere una traccia, una vita umana, una jeep, un soccordo, ma nulla. Sembra non ci sia nulla e nessuno, torno da Tamy un po’ incredulo, confuso. La notte, martellata da un fortissimo vento, e’ difficile da far passare, non si dorme, la preoccupazione e’ quella di rimanerci, sotto uno strato di sale, che pero’ almeno dorvebbe ben conservare i corpi… Cosa fare, abbandonare la moto e tentare di raggiungere a piedi un paese? Ma dove, ma quale, e chissa’ se siamo realmente nella posizione dove crediamo di essere.
Tamara piange, io quasi, beh forse qualche lacrimuccia si, ma non ditelo a nessuno. La decisione sbagliata potrebbe condannare me e lei, come decidere…
La mattina decidiamo di ritentare con la moto, potrebbe essere l’unica salvezza, il salar e’ troppo grande e noi troppo piccoli. Dopo decine di tentativi con le ultime forze riusciamo a liberarci. Camminando al suo fianco spingendola ed accelerando ci allontaniamo dalla zona maledetta ma la fatica e’ tanta, il respiro manca, l’altitudine non aiuta. Chilometri a spinta poi mi fermo, con il cuore in gola, e lei affonda di nuovo.
Tentiamo di infilare delle pietre sotto la gomma ma nulla sembra affondare ancora di piu’… Poi un lampo di genio di Tamara, a mio malgrado devo ammettere che in questo caso il suo genio e’ stato alquanto provvidenziale. Smontiamo i bagagli e la gettiamo a terra su un lato, poi strisciandola la portiamo in una zona piu’ solida, la fatica e’ immensa,
pero’ ne veniamo fuori e ripartiamo. Costeggiamo il salar, ma tutti i suoi confini sono pieni di fango, non possiamo rischiare ancora, cosi’ ci dirigiamo verso nord, verso il vulcano, dovrebbe esserci un paesino,
speriamo di arrivarci… Ma ben distanti la poca benza rimasta finisce, siamo a piedi nuovamente.
Abbandonata la moto ci dirigiamo verso quello che sembra essere il paesello, non ne siamo sicuri, i riflessi del sale sono forti e la vista debole, lo speriamo tanto! Camminando per quattro ore sotto il forte sole,
con i riflessi del sale che ci accecano. A volte cadiamo in terra in preda a forti giramenti di testa, l’acqua e’ ormai finita, il paese e’ ancora lontano. Lo raggiungiamo a gattoni, in preda al delirio, arrivati nella piazzetta, sorreggendoci l’un l’altro, riusciamo a prendere dell’acqua, due bottiglie da due litri in pochi sorsi, l’abbiamo scampata!
Cerchiamo della benzina e qualcuno che ci possa accompagnare alla moto, la gente ci guarda stupita, non capisce da dove arriviamo, quando gli e lo spieghiamo rimangono pietrificati. Troviamo riparo per la notte in una stanza affittata da una sciura del paese. Le bruciature in faccia ed agli occhi si fanno sentire. Compriamo delle patate e ce le facciamo
grattuggiare, ma non bastano, tutta la notte e tutto il giorno dopo rinchiusi nella camera in preda a forti dolori agli occhi e con le labbra, naso e viso completamente ustionati, terribile. Verso sera, con gli occhiali da sole ed il cappello basso, con due tizi ed una vecchia carretta accesa a spinta andiamo a recuperare la moto nel salar, mettiamo la benza e torniamo al paese.
Un ragazzo mi aiuta a lavare la moto completamente ricoperta dal sale, poi mi invita ad assistere ad una festa tradizionale a cui partecipano pochi, lui, che vive in cile, torna tutti gli anni per assistervi. Gli occhi mi bruciano ancora ma non poso rinunciare!
La festa ha inizio alla chiesetta, danze, suono di tamburi e flauti fatti a mano, fuochi ed altro per venerare il santo protettore. Poi in paese, noi li, da una posizione rivilegiata. Tamara mi abbandona dopo poco, io devo resistere, non me ne pentiro, infatti… Si inizia a bere tutti dallo stesso bicchiere un intruglio estratto dalla canna da zucchero ed
aromatizzato con la cannella, una schifezza che pero’ inebria. Le vecchie bevono come spugne e mi obbligano a fare altrettanto, tutti mi abbracciano e mi baciano, invitandomi a ballare con le piu’ storte.
Quando ormai le gambe non tengono piu’ il peso del mio corpo allora saluto tutti per il privilegio e mi allontano. Cospargo di svomitazzate le vie del paesino, mentre avanzo a passo del leopardo, la notte sto male come un cane ma ne e’ valsa la pena, sono felicissimo, dopo aver rischiato la vita ci voleva!
Quando le prime luci dell’alba entrano dalla finestrella sono ancora stordito, ho un male allucinante alla schiena, scopro il perche’, ho dormito con una patata sotto la schiena! Rimontiamo la moto, cerchiamo altra benzina, salutiamo gli abitanti e via, dentro una pietraia, costeggiando il vulcano ci allontaniamo da questo posto maledetto-benedetto.
Tamara, dicendomi “qualcuno ha guardato giu” mi lascia amareggiato, e’ una pugnalata al cuore. Sapete bene che io non sono credente, ma a parte questo, la cosa piu’ dolorosa e’ che il pensiero va subito ai miei cari amici, che mi hanno abbandonato prima del tempo. Per loro nessuno ha guardato giu? Perche’ questo privilegio? Volete dirmi che a loro, persone rispettabili e buone, il buon dio non ha avuto tempo? Non ci credo, non fatemi incazzare!
Come posso dimenticare Davide, Gianluca, Rosario, Michele e sua moglie, Gianni a cui il destino aveva gia voluto regalargli un handicap dalla nascita eppure ha voluto finirlo con una leucemia. E molti altri fino al gentile Renato e quell’ottimista di mio cugino Roby stroncato poco fa da un infarto a quarant’anni. No non ci credo, e non permetto a Tamara ne a nessuno di dire che qualcuno ha guardato giu, non lo permetto. Questa cosa
mi ferisce, mi da rabbia.
La giornata e’ dura, i vapori dell’alcool si fanno sentire e la strada e’ terribile, riusciamo a raggiungere con fatica la postazione dell’andata, campeggiamo. Puzziamo da morire, fango, sale, e randagismo, gli animali ci stanno a distanza. Di notte piove a dirotto!
All’alba si riparte, la strada e’ pessima e la pioggia non ha migliorato, poi raggiunto il benzinaio dobbiamo anche aspettare che arrivino le cisterne per il rifornimento, la sfiga continua. Fatta benza velocemente ci dirigiamo verso Potosi, la citta e’ gradevole, faccio benzina e…. Ho la gomma a terra! Cerco un gommista, a spinta ci arrivo, la gomma e’ bucata nel peggiore dei modi, di taglio, dentro la venatura del battistrada. Provo con il primo gommino, non tiene! Una compilation di epiteti difficilmente ripetibili si fa strada per le vie di Potosi. Tento di affiancargli un secondo gommino, non si dovrebbe fare, cmq tiene e possiamo ripartire. Fuori citta imbocchiamo la strada per il confine argentino, ma la bella strada si trasforma in pista di fango, pazzesco! Dopo poco siamo fermi per un tottentello, ingrossato per le piogge, nessuno passa, solo qualche grosso camion sfida la corrente. Dopo un ora di riflessione e dopo essere stati invitati a casa da due argentini anch’essi fermi, decido di tentare, su i pantaloni e mi getto nel fiume!
La corrente e’ forte e tira sul lato ma tenendo su il gas ed i piedi a mollo riesco nell’impresa!
Poi il buio prende il sopravvento, correre sul fango di notte con un cancello di trecento chili piu bagagli e emozionante, poi ci accampiamo nel nulla, sempre in tenda, sempre sporchi lerci.
La mattina e’ un valzer delle strade di mierda. Faticosa, oscena, ancora fango, fango, fango, si avanza a rilento, la strada non finisce mai, e’ interminabile! Arriviamo nel primo pomeriggio, dopo un totale di 12 ore per 400 km, alla frontiera, dove passiamo… Incredibilmente… 5 caz di ore! Nemmeno nella frontiera fra pakistan e india cosi scadente e lenta!
A notte troviamo un albergo dove riusciamo finalmente a lavarci e spellare naso e faccia. La mattina siamo ontheroad, su una strada vera, sani e salvi… Forse qualcosa l’ho dimenticato, o forse non lo voglio ricordare, abbiate pazienza, anche per me l’eta’ avanza!
Mauro Corona in uno dei suoi libri ama ricordare i suoi amici scomparsi e
cita una frase di uno di questi (credo sia Cerio), voglio usare anch’io
questa frase per i miei: “Alziamo il calice della vita, e alla morte
l’ultimo sorso”, ciao ragazzi. ”
mamma mia che avventura … ho letto tutto d’un fiato …
per fortuna vi lasciamo su una strada vera …. ma attenzione ragazzi …
un abbraccio
ragazzi avete tutto il mio rispetto e la mia ammirazione!ank’io amo viaggiare come voi e il sud america sarà la mia prossima destinazione in moto,come voi!vi seguirò passo a passo ma mi raccomando fate attenzione,l’agguato è sempre dietro l’angolo!continuate così,il mondo ha bisogno di gente come voi!